“Dare il nome” | Le arti visive raccontano la cultura migrante

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Ott

“Dare il nome” | Le arti visive raccontano la cultura migrante

In un’ottica di superamente dei confini tra le diverse pratiche di comunicazione e di comprensione del reale, nel programma del Festival delle Letterature Migranti si inserisce anche Dare il nome, una sezione dedicata alle arti visive, curata da Agata Polizzi.

Dare il nome alle persone, ai sentimenti, alle azioni, dare un’identità significa conoscere, prendersi cura, capire. Da questo presupposto  nasce l’intenzione di raccontare la cultura migrante attraverso il linguaggio delle arti visive, un linguaggio contemporaneo e immediato, capace di filtrare il reale per restituire una suggestione o forse anche solo un modo differente e più libero per osservare il mondo.

Articolato in luoghi significativi e attraverso medium vari il palinsesto Arti Visive del festival attiva, per il secondo anno consecutivo, un confronto fertilissimo tra parola e immagine.

La sezione mette in campo tre progetti espositivi in spazi museali fortemente caratterizzati e dislocati in tre punti cardine di Palermo.

Si parte da Palazzo Branciforte, una delle sedi della Fondazione Sicilia, con la mostra dossier John Berger Jean Mohr Il settimo uomo. Una narrazione di immagini e parole sull’esperienza dei lavoratori migranti in Europa realizzata dall’Agenzia Contrasto sull’esperienza di John Berger, fotografo artista e scrittore, di cui l’editore ha pubblicato recentemente una versione rivista e aggiornata de Il settimo uomo con fotografie di Jean Mohr.

Il Museo Archeologico Regionale Antonino Salinas, luogo di radicale importanza per la cultura del Mediterraneo accoglie il lavoro di Serena Vestrucci Things become clear after billions of years, narrazione sottile e alquanto intimistica, che attraverso due lavori dell’artista italiana racconta la possibilità di perdersi e di ritrovarsi grazie alle parole, alla loro capacità di trasformarsi e significare, di costruire un rapporto tra le persone divenendo “codice condiviso”. Narrazione che diventa metafora del tempo con cui vengono acquisiti e in parte metabolizzati, i processi di comprensione dei fenomeni umani, siano essi intellettuali o sociali. Lo spazio museale ospitante così denso e narrativo,orienta poi fortemente verso la commistione tra tempi e visioni differenti.

La sezione si chiude infine a Palazzo Chiaramonte Steri, presso la Sala delle Verifiche con PUNTE BRILLANTI DI LANCE per il Festival delle Letterature Migranti il progetto di Fondazione Merz, che presenta Divine Mother di Gili Lavy. Il suo film d’artista esplora il rapporto tra credenze, religione e identità, interrogandosi sull’effetto che il tempo e i rituali hanno nel creare e nel distruggere le convinzioni comuni.

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