Elettronica: un juke-box virtuale per la sezione Musica di FLM 2020

PAGINE DAL FESTIVAL
18
Ott

Elettronica: un juke-box virtuale per la sezione Musica di FLM 2020

SEZIONE MUSICA: ELETTRONICA

Un progetto ideato da Dario Oliveri

e realizzato in collaborazione con il Conservatorio di Musica “Alessandro Scarlatti” di Palermo

 

La voce e il corpo

Accostare le due parole “Musica” ed “Elettronica” significa far emergere un orizzonte non solo assai vasto, ma soprattutto – e sotto ogni aspetto – tipicamente moderno.

C’è stata un’epoca, infatti, in cui l’ascolto della musica era possibile soltanto “in presenza”: come a dire che per sentire la voce di Enrico Caruso era indispensabile trovarsi nello stesso luogo in cui Enrico Caruso – in quel preciso istante – stava cantando.

A partire dagli inizi del xx secolo questo rapporto fra pubblico e artista, indissolubilmente legato al rituale del concerto, comincia a vacillare: nel 1906 l’azienda americana Victor lancia infatti sul mercato il Victorola, ossia

il primo fonografo somigliante a un mobile. Una consolle in mogano rifinita come un pianoforte, venduto al prezzo di 200 dollari. Contemporaneamente la linea Red Seal, sempre della Victor, otteneva i suoi primi successi con Caruso […] in testa, Erano dischi incisi soltanto su un lato e costavano la bellezza di 7 dollari: una cifra che nel 1906 dava accesso a un intero guardaroba. […] Le campagne commerciali della Victor (una delle prime industrie a investire in pubblicità) puntavano molto sui cantanti lirici. […] L’esito di tale strategia […] fu che «una collezione di Red Seal qualificava un individuo come raffinato e facoltoso. Accanto alle opere complete e rilegate in pelle di Dickens, i Red Seal diventarono l’ornamento obbligatorio del salotto americano di classe, qualcosa da mostrare con il dovuto orgoglio a ospiti e parenti suggestionabili» (Evan Eisenberg, L’angelo con il fonografo. Musica, dischi da Aristotele a Zappa, Torino 1997 [ed. orig. New York 1987]).

Ma il fonografo è non soltanto un oggetto tecnologico di lusso, bensì un dispositivo che consente nuove modalità di consumo musicale. Nella prima fase pionieristica della sua storia, il disco è concepito essenzialmente come un surrogato dell’esecuzione dal vivo: Non a caso i primi ad appropriarsi di questo nuovo messo sono i cantanti, le cui voci vengono – per così dire – separate dai loro corpi e acquisiscono la capacità di risuonare innumerevoli volte e in qualsiasi luogo o momento.

Un esempio per tutti: quando Enrico Caruso incide Vesti la giubba, dai Pagliacci di Leoncavallo, trasformandola in una struggente canzone d’autore, il disco vende più di un milione di copie: «È un numero straordinario», scrive Pietro Leveratto, perché indica il fatto che «praticamente chiunque avesse accesso a un grammofono [nei primi anni del Novecento] aveva comprato quel disco e con esso la possibilità di ascoltare a casa propria la voce del cantante, decidendo una volta per tutte che l’era dell’opera d’arte riproducibile tecnicamente era arrivata a buon punto […]» (Con la musica. Note e storia di vita quotidiana, Palermo 2014).

Lo studio di registrazione come strumento musicale

Nel 1917 Leopold Stokowski portò l’Orchestra Filarmonica di Philadelphia negli studi della Victor a Camden (New Jersey) per incidere due Danze ungheresi di Brahms: i risultati furono talmente terribili da costringere il maestro a modificare la partitura, «perché senza questo espediente metà degli strumenti non sarebbe stata udibile» (Eisenberg). Poi, nel 1925, Stokowski divenne un pioniere dalla musica alla radio e pochi anni dopo fu il primo direttore d’orchestra a scoprire le potenzialità di un mixer. A partire da quel momento lo studio di registrazione diventò per lui un luogo in cui ricomporre tecnologicamente le opere che aveva deciso d’incidere, per renderle più attraenti dal punto di vista dell’ascolto radiofonico e discografico. La notazione tradizionale gli sembrava – in questi termini – ormai superata e nel 1931 afferma infatti quanto segue:

Sono persuaso che il compositore del futuro creerà le sue armonie direttamente in forma di suono, grazie a strumenti musicali elettrici capaci di riprodurre con fedeltà le sue idee. Le pellicole sonore del futuro sapranno comunicare emozioni d’inimmaginabile grandezza, così sottili e impalpabili da sfiorare il sovrannaturale.

In altre parole, Stokowski aveva cominciato a sognare la musica elettronica in un’epoca in cui non esisteva ancora. E non era l’unico: basti pensare a Edgard Varèse, del quale Stokowski aveva diretto nel 1924 la prima esecuzione di Intégrales. Oltre avere «previsto e attuato, nelle sue opere, il superamento della dicotomia suono-rumore» (Domenico Guaccero), Varèse unisce infatti strumenti tradizionali e suoni elettronici in Déserts (1950-54) e infine rinuncia del tutto agli strumenti per lasciare totalmente liberi i suoni del suo Poème electronique (1957-58), ideato per il Padiglione Philips costruito da Le Corbusier e Xenakis per l’esposizione Universale di Bruxelles del 1958.

Ma a questo punto la musica elettronica è già una realtà: ci sono gli esperimenti “concreti” della Scuola di Parigi e Stockhausen sta realizzando nello Studio per la Musica Elettronica della Radio di Colonia i suoi primi capolavori: Studien i/ii (1953-54), Gesang der Jünglinge (1955-56) e Kontakte (1959-60).

In quello stesso periodo, e premesso che tutta la musica giovanile e d’intrattenimento è diventata ormai impensabile senza l’amplificazione del suono, la produzione discografica continua tuttavia ad essere considerata una riproduzione più o meno efficace della musica eseguita (o eseguibile) in concerto. L’anno della svolta è il 1966-67, quando i Beatles – che hanno da poco rinunciato a esibirsi dal vivo – realizzano negli studi della EMI di Abbey Road il singolo Strawberry Fields Forever (con Penny Lane sul lato B) e l’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, sulla cui copertina figura, tra gli altri, anche Stockhausen. A partire da questo momento il rock diventa adulto e lo studio di registrazione si trasforma nel luogo/strumento in cui s’inventano nuovi linguaggi e tendenze: Pet Sounds (1966), The Dark Side Of The The Moon (1973), “Heroes” (1977), Sign ‘o’ the Times (1987), Blue Lines (1991) e tutto quel che ne consegue sarebbe infatti impensabile senza l’elettronica e le sue implicazioni.

Un juke-box virtuale

A metà strada fra il fonografo Victorola, l’hi-fi e le playlist on-line c’è il juke-box. Il Vocabolario Treccani lo definisce in questo modo:

juke-boxǧùuk bòks› locuz. angloamer. [comp. di juke (house), propr. «casa di malaffare», nome con cui erano indicate le bettole e i luoghi di ballo frequentati dai neri degli Stati Uniti merid., e di box «scatola»] (pl. jukeboxes ‹… bòksi›), usata in ital. come s. m. – Tipo di fonografo elettrico automatico, diffuso spec. in passato soprattutto nei bar, caffè, stabilimenti balneari, sale da ballo e altri luoghi di trattenimento: è formato da un mobile contenente un amplificatore elettroacustico, con giradischi e numerosi dischi o compact-disc, che si scelgono e si fanno suonare introducendo una moneta o un gettone e premendo determinati tasti.

In un’epoca in cui il possesso e l’utilizzo del giradischi erano ancora riservati a un pubblico adulto (e benestante), il juke-box offriva ai più giovani una possibilità di ascolto economicamente accessibile e molto efficace sul piano dell’aggregazione sociale.

Negli anni ’50 il juke-box è infatti vissuto come un’affascinante “Sirena d’America” che «ha educato più di una generazione di giovani alle delizie e ai limiti del Consumo, irradiando elettromeccanicamente, in un’epoca angosciosa, una festa di musiche e luci, spreco e rumori» (Yves Hersant).

Oggi potrebbe invece configurarsi, nella sua reinvenzione virtuale, come il simbolo di un’opera musicale non soltanto “riproducibile”, ma soprattutto “producibile” (e propagabile) attraverso i mezzi della tecnologia.

In questo senso, il repertorio cameristico o per orchestra soffrono infatti di limitazioni che la musica digitale non conosce, per il semplice fatto di essere appunto…. digitale. Rinunciando all’idea di travasare sul web un repertorio che al di là dell’emergenza immediata o dell’esperienza didattica trova la sua dimensione ideale in un teatro o in una sala da concerti, il progetto ELETTRONICA tende dunque a reinventare creativamente il juke-box, mantenendone la dimensione po’ ludica, ma senza l’esigenza di un consumo immediato. Il juke-box al quale pensiamo è infatti aperto a linguaggi diversi: dalla sperimentazione all’intrattenimento.

E dunque: dodici artisti/performer con esperienze e formazioni diverse, che hanno firmato 2×12 brani (corrispondenti alle facciate A e B di dodici 45 giri) della durata di 3-4 minuti ciascuno. Un juke-box virtuale di brani inediti, in parte realizzati appositamente per il Festival delle Letterature Migranti e comunque per lo più in prima audizione assoluta.

Gli artisti che hanno avvolto l’invito del Festival sono: Marco Betta, Marco Cappelli, Maria Chiara Casà, Ornella Cerniglia, Manfredi Clemente, Gianni Gebbia, Gabriele Giambertone, Pietro Leveratto, Roberto Palazzolo, Salvatore Passantino, Giuseppe Rapisarda e Giulia Tagliavia.

Immagini sonore del nostro tempo

La sonda spaziale Voyager 1, lanciata dalla NASA il 5 settembre 1977, è al di là di ogni dubbio l’oggetto costruito dall’uomo situato a maggiore distanza dal pianeta Terra. Com’è noto la navicella porta con sé un disco di rame placcato in oro, denominato Golden Record, sul quale sono incisi immagini e suoni del nostro pianeta, selezionati con l’idea di fornire a eventuali intelligenze extraterrestri alcune informazioni basilari sulle caratteristiche della Terra, della sua storia e del grado di civiltà dei suoi abitanti.

Questa incredibile Encyclopédie spaziale racchiude anche 90 minuti di musica proveniente da varie epoche e culture del mondo. Fra gli autori di musica classica figurano anche Bach, Mozart e Beethoven, mentre l’unico compositore del xx secolo è Igor Stravinsky. Inoltre sono state incise sul disco anche le voci di “Blind” Willie Johnson, Louis Armstrong e Chuck Berry, insieme con i gamelan dell’isola di Giava, le percussioni senegalesi e i canti rituali degli indiani Navajo e delle donne pigmee.

Pur senza avere le ambizioni del Golden Record («serbare il mormorio di un’antica civiltà un tempo fiorita sul lontano pianeta Terra» [Carl Sagan]), il nostro juke-box virtuale potrebbe invece catturare lo spirito, gli stati d’animo e i linguaggi del momento attuale, costituendo una serie di immagini (o istantanee) sonore da lasciare in regalo ai tempi che verranno

Tracklist / Istruzioni per l’uso

I brani confluiti nel nostro juke-box virtuale del sono quasi tutti inediti e in gran parte nuovissimi, ossia realizzati appositamente per il Festival delle Letterature Migranti. In senso generale le registrazioni s’intendono realizzate dagli stessi compositori utilizzando vari dispositivi elettronici. Certi pezzi sono tuttavia completamente acustici o basati sull’interazione o contatto fra strumenti tradizionali e suoni elettronici: in questi casi è indicato il nome del o degli interpreti che hanno preso parte alla registrazione.

In assenza della tipica tastiera con lettere e numeri che caratterizzava i Wurlitzer del secolo scorso, gli autori sono disposti in ordine alfabetico per cognome, ma è ovvio che l’ascoltatore è invitato a scegliere l’ordine d’esecuzione che preferisce, realizzando una playlist del tutto personale. Qualunque sia, e considerando la pluralità dei linguaggi e degli approcci stilistici, il percorso musicale risulterà molto vario, che facendo somigliare questi brani alle tessere di un mosaico sonoro che ognuno di noi è invitato a ricomporre e interpretare secondo il suo punto di vista. d.o.

Marco Betta

Side A – Canone terra (2020)* / durata: 5’27”

Side B – Canone piante (2020)* / durata: 5’27”

 

Marco Cappelli

Side A – My Father (Cappelli – Falco, 2000) / 5’46”

Marco Cappelli chitarra classica – Alberto Falco chitarra elettrica

Side B – New Music Etude #1 (Cappelli – Clemente, 2020*) / 3’28”

Daniela Del Monaco mezzosoprano – Sandro Naglia – tenore

Marco Cappelli – chitarre – Manfredi Clemente – live electronics

Con la partecipazione straordinaria di Alicia Cappelli-Gouverner e Kai Blanchard vocals

 

Maria Chiara Casà

Side A – Black Hole (2020)* / 3’09”

Side B – Andata e ritorno (2020)* / durata: 3’15”

 

Ornella Cerniglia

Side A – Notturno Primo (2020)* / 4’05”

Side B – Notturno Secondo (2020)* / 4’13”

Ornella Cerniglia pianoforte e synth

 

registrazioni effettuate il 20.09.2020 da Gabriele Giambertone @ Blunetwork Record, Palermo.

 

Manfredi Clemente

Side A – Risveglio o Della morte del sogno. Studio per una liturgia (2020)* / 4’

Side B – Side B – New Music Etude #2  – Amarilli (Cappelli – Clemente, 2020*) / 4’23”

Daniela Del Monaco mezzosoprano – Sandro Naglia – tenore

Marco Cappelli – chitarre – Manfredi Clemente – live electronics

 

Gianni Gebbia

Side A – Daruma’s Call Remix (2018) / 4’07”

Gianni Gebbia sassofono contralto – Giovanni Verga synth

Side B – Marcato (2000) / 3’17”

Gianni Gebbia sassofono contralto – Max Ferraresi giradischi

 

Registrazioni effettuate a Berlino nel 2018 (Daruma’s Call Remix) e a Palermo e Castrocaro Terme nel 2000 (Marcato).

 

Gabriele Giambertone

Side A – Opening Act (2020)* / 3’07”

Side B – Passaggi (2020)* / 5’

 

registrazioni effettuate nell’ottobre 2020 da Gabriele Giambertone @ Blunetwork Record, Palermo.

 

Pietro Leveratto

A – Folksong (2019) / 2’27”

Cecilia Vendrasco flauto

B – Dos canciones de decir adios (2019) / 3’49”

Francesco La Bruna violino – Giovanni Mattaliano clarinetto basso – Fabrizio Francofonte percussioni – quintetto d’archi – Pietro Leveratto elettronica e direttore

 

Registrazioni effettuate a Venezia nel 2019 (Folksong) e a Palermo nel 2014 (Dos canciones de decir adios).

 

Roberto Palazzolo

Side A – Materia (2015) /

Side B – Vocem (2014) /

 

Salvatore Passantino

Side A – Madonna della seggiola (2020)* /

Fabio Pecorella pianoforti

Side B – La fornarina (2020)* /

Floriana Franchina flauto e pianoforte

 

Registrazioni effettuate a Palermo il 25.09.2020 (Madonna della seggiola) e il 28.09.2020 (La fornarina).

 

Giuseppe Rapisarda

Side A – frdm / 3’16”

Side B – (h)ear / 3’50”

 

Giulia Tagliavia

Side A – Tango Perpendicular (2008) / 3’44”

Giulia Tagliavia pianoforte

Side B – Impro Piano & Cello (2010) / 5’01”

Angelo Di Mino violoncello – Giulia Tagliavia pianoforte

 

* Opera composta/rielaborata per il Festival delle Letterature Migranti 2020

Le schede dei brani sono state realizzate in base alle informazioni fornite dai compositori

Domenica 25 ottobre
Ore 11:00 Palazzo Branciforte | Sala dei 99
Presentazione del progetto
Elettronica
sezione Musica a cura di Dario Oliveri
con Marco Betta e Dario Oliveri
L’evento avverrà a porte chiuse e sarà trasmesso in diretta streaming sui nostri canali

A metà strada fra il fonografo, l’hi-fi e le playlist on-line c’è il juke-box, questa “sirena d’America” che il progetto Elettronica tende a reinventare creativamente, ma senza l’esigenza di un consumo immediato. Il juke-box virtuale del Festival delle Letterature Migranti è infatti aperto a linguaggi diversi: dalla sperimentazione all’intrattenimento.
Dario Oliveri ne traccia le linee essenziali dialogando con Marco Betta, uno dei 12 autori che hanno scritto per il juke-box del Festival.

Domenica 25 ottobre
Ore 12:00 Palazzo Branciforte | Sala dei 99
Variazioni e fughe
Incontro con Pietro Leveratto, Il silenzio alla fine, (Sellerio) con Dario Oliveri
L’evento avverrà a porte chiuse e sarà trasmesso in diretta streaming sui nostri canali

New York, primavera 1932. La città più viva del mondo agli ultimi sgoccioli del proibizionismo, l’età felice del jazz appena dietro le spalle, sotto la cappa della Grande depressione. Nell’intrecciarsi di altre vite e storie, tre uomini incrociano drammaticamente le loro esistenze Un ebreo austriaco, tormentato e sommo musicista, e un celeberrimo direttore d’orchestra italiano, antifascista in esilio, accomunati dalla musica grande, per entrambi salvifica. Sullo sfondo, a tramare, il terzo uomo, siciliano, fascista della prima ora, sodale di Mussolini fin dagli albori socialisti e convinto perciò di essere il suo interprete più vero in mezzo ai traditori. Un’orditura da giallo storico, Il silenzio alla fine è romanzo d’ambiente e di psicologie.

 

Lascia una risposta